L’Agenzia delle Entrate ha reso noti i risultati degli studi di settore sui liberi professionisti delle professioni sanitarie. E fa un focus sugli infermieri che pur non essendo dipendenti traggono quasi tutti i loro profitti da strutture private che utilizzano le loro prestazioni. Sono 36.869. Il Fisco registra per loro incassi medi annui nel 2013 di 47mila euro, con un reddito medio di impresa da lavoro autonomo di 23.400 euro. Sono i professionisti delle professioni sanitarie sotto la lente degli studi di settore dell’Agenzia delle Entrate, che da pochi giorni ha pubblicato l’analisi relativa al 2013, di cui fanno parte moltissimi dei quasi 40mila infermieri che svolgono la libera professione.
Tra i soggetti “controllati” le Entrate dedicano un’attenzione specifica ai terapisti della riabilitazione e agli infermieri e raggruppano tutte le altre professioni sotto la voce “attività paramediche indipendenti”.
Una ulteriore distinzione a livello di redditi a carattere generale le Entrate la fanno tra chi guadagna, anche in forma societaria, oltre 30mila euro e a chi invece resta al di sotto di questa soglia. Tra i primi ci sono 14.683 professionisti con ricavi annui medi di 92.900 euro e redditi medi da 42.400 euro (le Entrate considerano “non congrui” e “non adeguati” i ricavi medi da 126.300 euro che corrispondono però a redditi dichiarati di 16.100 euro l’anno).
Nel gruppo con redditi al di sotto dei 30mila euro, ci sono invece 22.186 professionisti con ricavi medi dichiarati di 15,900 euro e redditi medi di impresa o lavoro autonomo da 12.600 euro. Anche qui i non congrui o non adeguati: sono quelli con ricavi medi di 11.400 euro, ma con un reddito medio da lavoro autonomo di soli 7.600 euro.
Dal punto di vista generale di ricavi medi e redditi, nel settore sanitario al top ci sono le farmacie, con incassi di 1,172 milioni e redditi da 97.300 euro l’anno, seguite dai laboratori di analisi cliniche (ricavi: 75.700 euro; redditi: 36.600 euro) e dagli studi medici (ricavi: 81.100 euro; redditi 63.900 euro). Chi sta peggio sono gli psicologi che hanno ricavi medi di 24.800 euro e redditi di 19.300 euro e la media di tutte le attività professionali controllate dagli studi di settore è di 200.200 euro di ricavi a fronte di 27.000 euro di redditi.
Ulteriori distinzioni per le professioni sanitarie, poi, le Entrate le fanno suddividendo le persone fisiche dalle società di persone e, ancora, dalle società di capitali.
La prima è la categoria più numerosa: 34.478 professionisti con ricavi medi da 27.700 euro e redditi da 21.100 euro l’anno. Con picchi fino a 50.500 euro di ricavi e 38.300 euro di reddito annuo e, verso il basso, di 15.900 euro di ricavi e 12.600 euro di reddito.
Le società di persone si fermano a 1.356. I loro ricavi medi raggiungono i 168.700 euro, con un reddito di 74.300 euro. Chi guadagna di più, dichiara ricavi medi di 176.700 euro e redditi per 80.300 euro.
Infine le società di capitali. Sotto la lente degli studi di settore ce ne sono 1.035, con ricavi medi annui di 528.900 euro e redditi medi di impresa da 32.200 euro.
Un focus particolare l’Agenzia delle Entrate lo fa sugli infermieri che, pur essendo liberi professionisti, dipendono in qualche modo per la maggior parte del loro reddito da enti o strutture come cliniche private o cooperative.
I primi sono gli infermieri che operano presso “altre strutture private o pubbliche, sanitarie e non sanitarie”. Sono 1.166 a essere stati sottoposti agli studi di settore e si tratta di contribuenti che svolgono l’attività̀ di infermieri principalmente presso “altre strutture private o pubbliche, sanitarie e non sanitarie” (96% dei compensi/ricavi). Da segnalare secondo le Entrate che il 23% di questi soggetti ottiene il 92% dei compensi/ricavi dall’assistenza infermieristica retribuita ad ore (comprensiva dell’assistenza notturna). Il gruppo di professionisti raccoglie in larga prevalenza lavoratori autonomi (96 96% del totale) che raramente si avvalgono di dipendenti o collaboratori e nell’8% dei casi dichiarano di disporre di locali destinati esclusivamente all’esercizio dell’attività̀ professionale. La clientela, piuttosto eterogenea, comprende in prevalenza “altre strutture sanitarie” come ospedali e cliniche (fonte del 50% dei compensi/ricavi), privati (41% dei compensi/ricavi per il 18% dei soggetti) ed imprese e società̀ (68% per il 17%). Le Entrate segnalano poi che l’8% dei soggetti del cluster si rivolge a “scuole, enti sportivi, sindacati, enti diversi pubblici e privati”, da cui origina il 65% dei compensi/ricavi.
Ci sono poi 4.276 infermieri che dipendono “fortemente” – è la definizione delle Entrate – dal committente principale ed operano presso “altre strutture private o pubbliche, sanitarie e non sanitarie” Il raggruppamento è formato da contribuenti che svolgono l’attività̀ di infermieri presso “altre strutture private o pubbliche, sanitarie e non sanitarie” ed operano in larga prevalenza per il committente principale (91% dei compensi/ricavi). Le Entrate segnalano in questo caso che la committenza è rappresentata principalmente da “altre strutture sanitarie” come ospedali e cliniche (fonte del 96% dei compensi/ricavi per il 62% dei soggetti) seguite da imprese e società̀ (87% per il 19%). Il 41% dei soggetti ottiene il 98% dei compensi/ricavi dall’assistenza infermieristica retribuita ad ore (comprensiva dell’assistenza notturna). Il gruppo si compone quasi esclusivamente di lavoratori autonomi (99%) che nel 3% dei casi dichiarano locali destinati esclusivamente all’esercizio dell’attività̀ e raramente si avvalgono di dipendenti o collaboratori.
Infine, tra i focus delle Entrate ci sono 380 infermieri che dipendono fortemente dal committente principale ed erogano prestazioni domiciliari. Si tratta di contribuenti che svolgono l’attività̀ di infermiere ed erogano quasi esclusivamente prestazioni domiciliari (96% dei compensi/ricavi). Le Entrate evidenziano che questi si rivolgono in prevalenza al committente principale, dal quale originano il 92% dei compensi/ricavi e segnalano che la committenza è rappresentata principalmente da imprese e società̀ (fonte del 98% dei compensi/ricavi per il 39% dei soggetti). Il rapporto evidenzia poi che il 18% dei soggetti ottiene il 95% dei propri compensi/ricavi da attività̀ in convenzione con il Ssn e che il 27% dei contribuenti deriva il 92% dei compensi/ricavi dall’assistenza infermieristica retribuita ad ore (comprensiva dell’assistenza notturna). Si tratta in larga prevalenza di lavoratori autonomi (95% del totale) che nel 4% dei casi dichiarano locali destinati esclusivamente all’esercizio dell’attività̀. Raramente si riscontra la presenza di dipendenti o collaboratori.
Quello delle Entrate sugli studi di settore è evidentemente un quadro non esaustivo di tutta l’attività dei nostri liberi professionisti ma dà uno spaccato sufficientemente puntuale per sottolineare alcuni aspetti di questa. Prima di tutto si crede nelle libera professione non come attività momentanea o di ripiego, ottiene risultati anche economicamente tutto sommato positivi. E che potrebbero e potranno esserlo ancora di più al momento in cui si metterà in campo quell’accreditamento dei liberi professionisti che la Federazione ha inserito tra i suoi progetti del triennio e che rappresenta una ulteriore garanzia, grazie alla quale la professione potrà crescere ancora. Poi direi che l’analisi degli studi di settore, ripeto anche se parziale, sottolinea l’evidente vantaggio di operare non come singoli professionisti, ma grazie a un’organizzazione comunque del lavoro e di una rete sul territorio che può andare incontro ai bisogni dei cittadini, assicurando la massima qualità. Anche il fatto che ricavi e redditi dei nostri professionisti siano non al top, ma mediamente elevati rispetto a quelli di altre attività, dimostra che la libera professione è una fetta importante del futuro di molti infermieri. Ci sono diverse strade possibili da percorrere oltre la richiesta diretta del cittadino: l’integrazione nella farmacia dei servizi sul territorio; la realizzazione di pacchetti di assistenza infermieristica per la sanità integrativa; la possibilità (difficile per ragioni economiche) di aprire le porte sul territorio (Regioni e bilanci permettendo) a un “infermiere convenzionato” in analogia con il medico di medicina generale.
Dovremmo comunque prevedere forme di tutela, sia fiscale che professionale, per quei professionisti che scegliendo la libera professione – come sottolineano anche le Entrate – sono poi costretti per lavorare ad accettare di ‘dipendere’ da forme societarie non professionali che magari li pagano a ore (anche solo 5 euro!) e li inquadrano con mansioni inferiori. Questa è una finta libera professione che non solo va evitata, ma deve essere anche prevenuta. L’allarme lo abbiamo già lanciato a marzo al nostro congresso nazionale, quando la ricerca Censis sull’attività territoriale dell’infermiere ha sottolineato che i soggetti che oggi organizzano il reperimento di infermieri a domicilio, finiscono per incassare il dividendo della funzione svolta, e lo fanno con grande potere contrattuale anche nei confronti degli stessi infermieri detentori del sapere specialistico tanto ricercato. Qualunque sia la scelta, tuttavia, il denominatore comune dovrà essere l’accreditamento e la certificazione dei professionisti che i Collegi saranno sollecitati a mettere in campo per dare certezze ai cittadini e ai servizi, togliendo sempre più spazi alle prestazioni “improvvisate” e rischiose. Anche prevedendo uno sviluppo maggiore della libera professione, tuttavia sarà necessario ragionare sempre in termini di rete: quella dell’infermiere libero professionista è una figura che senza rete e integrazioni non ha sviluppo e si devono creare le condizioni per fare sistema mantenendo e rivendicando la specificità dell’assistenza infermieristica, intercettando la rilevante domanda, sempre più crescente, di assistenza.