Il SSN dedica a livello nazionale solo 2 euro medi annui procapite al benessere dei dipendenti contro gli oltre 1.700 delle autorithy. Mangiacavalli: “Così si riducono motivazione e produttività e aumentano le tensioni: i sindacati agiscano”. L’inflazione manda a picco i salari: il rapporto Aran lo conferma: I più “maltrattati” sono i dipendenti del Servizio sanitario nazionale. A loro, grazie alla contrattazione nazionale, non si dedicano oltre 2 euro medi l’anno per il “benessere del personale” (contributi per spese sanitarie, protesi, sussidi, rimborsi rette asili nido, rimborsi per gli abbonamenti al trasporto pubblico ecc.). E che siano “maltrattati” è evidente se si guarda al beneficio procapite medio annuo di altri comparti della pubblica amministrazione, la cui media generale è di 34 euro l’anno. Ad esempio: 120 euro vanno alle Università, circa 30 euro alle Regioni, 123 euro per i ministeri, 498 euro per gli enti di ricerca, 574 per gli enti pubblici non economici, 674 per le amministrazioni pubbliche (agenzie varie ecc.), 1.761 per le autorità indipendenti (le varie autorità garanti, la Consob, l’Anac e così via).
Il SSN fa parte secondo l’analisi dell’Aran sul welfare aziendale, contenuto nel “Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti” riferito a fine 2014 e pubblicato dall’Agenzia il 25 maggio scorso, di “un gruppo di amministrazioni che impiegano cifre trascurabili (con il SSN ci sono la scuola, la carriera penitenziaria, i corpi di polizia, la magistratura, ecc, ma il servizio sanitario resta il fanalino di coda). Un gruppo che comprende, tuttavia, gran parte del personale in servizio nelle amministrazioni pubbliche considerate, che pesano per più del 90% sull’intero universo del personale della Pa (70% se si considerano solo i comparti contrattualizzati) e che pertanto influiscono in misura molto rilevante sulla media generale e quindi sui risultati generali di questa prima analisi della spesa per il benessere del personale nella amministrazioni pubbliche”.
Nel sistema privato, sottolinea l’Aran, il welfare aziendale è l’insieme di benefit e servizi, forniti dall’azienda ai propri dipendenti per migliorare la vita privata e lavorativa. I vantaggi per i lavoratori e per le aziende sono molti, secondo l’Agenzia e, in molti casi, si riscontrano, nel medio periodo, per gli effetti positivi sulla motivazione, un miglioramento del clima aziendale e un aumento di produttività.
In pratica quello del welfare aziendale è un po’ un bilanciamento del fatto che i contratti e le retribuzioni siano in stallo ormai da anni, nel pubblico, ma anche nel privato.
L’Aran in questo senso conferma l’andamento negativo messo in evidenza nei giorni scorsi dal Rapporto di Bankitalia, evidenziando che negli enti sanitari la dinamica retributiva procapite “di fatto” è in calo costante a partire già dal 2008 e registra segni negativi dal 2012 in poi, quando cioè sono del tutto finiti gli effetti dell’ultimo contratto che risale al 2009.
Anche la dinamica delle retribuzioni nel lungo periodo – confronto 2013 su 2000 – non premia davvero i dipendenti. Infatti negli enti sanitari si registra un aumento del 28,8% nei tredici anni considerati, ma se si guarda ai tassi di inflazione effettivi cumulati per lo stesso periodo si scopre che questi raggiungono il 32,5%, con una perdita quindi delle retribuzioni del -3,7 per cento.
A confermare ancora la situazione pesante per le retribuzioni sono i dati generali dell’andamento della Pa: nel grafico Aran sulle retribuzioni contrattuali di tutti i comparti di contrattazione, quelli di contrattazione collettiva pubblici di cui il SSN fa parte, sono caratterizzati da una linea piatta a partire da metà 2009 in poi. Linea che va in discesa appena si raffronta con quella dell’inflazione e che in una proiezione Aran fino al 2015, dà come risultato una massa salariale ridotta negli ultimi tre anni, ma stabile, unità di lavoro in costante calo in tutta la Pubblica amministrazione e retribuzioni procapite che nel 2015 risalgono dell’1% solo grazie allo sblocco dei salari accessori con la legge di stabilità 2015.
“Ciò che è più grave – commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione dei Collegi Ipasvi – è che il livello più basso di welfare aziendale si registri proprio nel settore dove forse di questo ci sarebbe più bisogno. I dipendenti del SSN (e tra questi in particolare proprio gli infermieri) sono tra i più soggetti a infortuni professionali (il 70% sono donne) e a stress da lavoro (quasi il 70% degli infermieri si dichiara ‘sfinito’ dai ritmi di lavoro a cui è sottoposto e circa il 60% dichiara che tutto questo ha influenze negativa anche sulla propria vita di tutti i giorni). Né si possono considerare eventuali situazioni migliori a livello di contrattazione integrativa, sicuramente encomiabili, ma che non coinvolgono il personale sottoposto alle stesse condizioni di lavoro in tutto il Paese.
I dati dell’analisi Aran dovrebbero essere un campanello d’allarme per i sindacati che, presto si spera, dovranno riaprire la contrattazione ferma ormai da cinque anni e che potrebbero e dovrebbero considerare queste voci anche a prescindere dagli aumenti contrattuali possibili, soprattutto per gli effetti positivi che queste hanno sulla motivazione e sulla produttività del personale.
Rattrista poi l’ulteriore conferma degli andamenti delle retribuzioni: non c’è molto da aggiungere ai dati già sottolineati nell’ultimo periodo, ma c’è comunque di che preoccuparsi anche riguardo alle proiezioni che l’Aran fa. Un aumento dell’1% legato ai fondi accessori è infatti comunque del tutto insufficiente a coprire gli effetti dell’inflazione. E questo, se non si corre ai ripari, porta e porterà il valore delle retribuzioni sempre più in basso”.
via ipasvi.it